I modelli idraulici in scala ridotta hanno una lunga storia di applicazione in ingegneria idraulica. Il loro utilizzo si rivela utile quando risulta non consigliabile formulare o risolvere numericamente un sistema di equazioni atto a descrivere i processi che hanno luogo nel sistema reale, che indicheremo nel seguito con il termine di prototipo. Ciò spesso accade quando si devono analizzare fenomeni per i quali le leggi che ne regolano la dinamica evolutiva non siano soddisfacentemente note, oppure quando la definizione dei contorni del campo di moto in termini numerici risulti problematica, oppure quando le ipotesi che condizionano la modellistica numerica si rivelino poco attendibili. I modelli in scala ridotta, che sono anche chiamati "modelli fisici" in linguaggio tecnico, trovano il loro ideale campo di applicazione nell'analisi dei fenomeni localizzati.
Nella realtà infatti i modelli idraulici in scala ridotta delle correnti a pelo libero sono spesso impiegati per analizzare erosioni alla base di manufatti e difese spondali oppure interferenze fra la corrente fluviale e infrastrutture dalla geometria particolarmente complessa, che rendono problematica la definizione delle condizioni al contorno ed il soddisfacimento delle assunzioni in un ipotetico modello numerico. I modelli fisici sono quindi tuttora uno strumento spesso indispensabile nello studio dei fenomeni idraulici che avvengono negli alvei fluviali, sebbene la loro realizzazione sia vincolata alla disponibilità di idonee strumentazioni e attrezzature di laboratorio.
Affinchè il modello fisico sia rappresentativo del prototipo, è necessario verificare il soddisfacimento di appropriati criteri di similitudine, che sono il corrispondente delle assunzioni che condizionano un modello numerico. E' infatti intuitivo che un modello a scala ridotta possa rivelarsi poco attendibile, soprattutto se la scala spaziale viene oltremodo compressa. L'individuazione delle condizioni da assicurare per il rispetto dei criteri di similitudine comporta spesso problemi di non facile soluzione. La letteratura scientifica al riguardo è particolarmente ricca di contributi, che sintetizzano un'esperienza nel settore ormai più che secolare. Ai modelli fisici si richiede normalmente da un lato di rappresentare i fenomeni rilevanti con sufficiente affidabilità e dall'altro di convincere il progettista ed il committente della attendibilità dei risultati da essi forniti.
In relazione al primo scopo è indispensabile porre l'accento sul termine "fenomeni rilevanti". Infatti, la rappresentazione affidabile dei fenomeni non è in genere completa, ma si limita ad alcuni aspetti ritenuti principali, mentre per i restanti ci si accontenta di verificare che nel modello, come nel prototipo, questi restino di secondaria importanza o possano essere filtrati, cioè identificati e rimossi, quando questi acquisissero una qualche importanza.
In relazione invece al secondo scopo è necessario che la corrispondenza fra i fenomeni reali e quelli riprodotti nel modello sia semplice e per quanto possibile completa, percepibile facilmente in relazione alla loro somiglianza ed alla cura nella rappresentazione. Un'eccessiva semplificazione come un eccessivo filtraggio dei risultati ottenuti può essere causa di una perdita di capacità di convincimento.
La misura di una grandezza fisica è definita come il rapporto fra la grandezza stessa ed un’altra della stessa specie, assunta quale unità di misura. Al variare di tale unità di misura cambiano, naturalmente, tutte le misure delle grandezze della specie fisica considerata; il rapporto fra le misure di due grandezze della stessa specie resta invece inalterato, ed esso assume quindi valore oggettivo. L’evidenza sperimentale ha mostrato che esistono legami ben precisi fra le misure di grandezze di specie diversa, estrinsecati da leggi fisiche. Ciò consente pertanto di suddividere le grandezze fisiche in grandezze fondamentali, per le quali è necessario definire l’unità di misura, e grandezze derivate, la cui unità di misura è invece desumibile dalle unità delle grandezze fondamentali per mezzo delle leggi fisiche predette.
La natura delle grandezze per le quali occorre definire l'unità di misura, e da considerare perciò come fondamentali, è del tutto arbitraria. E’ solo per abitudine consolidata che nella meccanica classica si sono assunte tre grandezze fondamentali, cioè lunghezza, la cui unità di misura verrà di seguito indicata con il simbolo L, tempo (T) e massa (M). Le unità di misura delle grandezze fondamentali sono fissate in base a convenzioni, variando le quali si possono adottare nuove unità per le masse, le lunghezze e i tempi che abbiano, ordinatamente, misura rM, rL, rT nei confronti delle rispettive unità originarie. A seguito di ciò, risulteranno diverse, in generale, anche le unità di misura delle grandezze derivate, pur mantenendo inalterate le definizioni di misura per tali grandezze e le convenzioni sulla scelta delle unità relative. La nuova unità per la grandezza derivata A avrà misura rA rispetto all’unità primitiva di A, e questo valore dipenderà dai cambiamenti imposti alle unità fondamentali, cioè
(1)
La natura della relazione funzionale f è vincolata dalla necessità di definire le misure in modo da conservare il valore dei rapporti fra grandezze della stessa specie che, come si è visto, hanno valore oggettivo. Si può dimostrare che questa condizione è soddisfatta se e solo se f assume la forma di un prodotto di potenze, sicché la (1) diviene
(2)
Se αA, βA e γA risultano identicamente nulli, l’unità di misura della grandezza A resta invariata nonostante i mutamenti apportati alle unità di misura fondamentali, e si dice che A costituisce una grandezza adimensionale, ossia un numero puro. Se, invece, solamente αA e γA risultano nulli, A è una grandezza di tipo geometrico, mentre l'uguaglianza a zero di solo αA identifica le grandezze cinematiche. Le grandezze di tipo dinamico sono invece caratterizzate da valori diversi da zero di tutti e tre gli esponenti. Il cambiamento di unità di misura delle tre grandezze fondamentali porta quindi a mutamenti ben determinati delle unità di tutte le grandezze derivate. Inversamente, si può intuire che una nuova scelta arbitraria delle unità di misura per tre grandezze derivate tra loro dimensionalmente indipendenti implica una variazione ben determinata sulle unità di misura delle grandezze fondamentali.
Nel caso della meccanica dei fluidi sono spesso assunte come grandezze fondamentali la densità di massa del fluido ρ, la velocità v, e la lunghezza L, che sono tre grandezze tra loro dimensionalmente indipendenti.
I fenomeni di meccanica dei fluidi possono essere compiutamente descritti, in assenza di effetti di tipo termodinamico, elettromagnetico e chimico, identificando 9 grandezze, ovvero lunghezza, tempo, velocità, accelerazione di gravità, pressione, densità di massa del fluido, viscosità dinamica, comprimibilità, tensione superficiale. Poichè 3 di queste grandezze sono fondamentali, le rimanenti 6 potranno essere espresse in termini di rapporti adimensionali fra le grandezze fondamentali, ovvero 6 numeri puri, che sono i numeri di Reynolds, Froude, Weber, Mach, Eulero, Strouhal. Questi numeri, essendo adimensionali, dovranno necessariamente assumere il medesimo valore nel modello e nel prototipo. Tutti questi numeri puri, ad eccezione di quello di Strouhal, possono essere interpretati, dal punto di vista dinamico, come rapporto fra la forza d'inerzia, espressa dal termine ρL2v2, ove L è una grandezza caratteristica della corrente che ha le dimensioni di una lunghezza, e le forze di diversa natura di volta in volta agenti su un assegnato volume di fluido. Ad esempio, il numero di Reynolds può essere espresso come rapporto fra la forza d'inerzia e la forza di attrito viscoso, espressa dal termine μLv, sicché risulta Re = ρL2v2/μLv = ρLv/μ. Il numero di Froude può invece essere ottenuto ponendo a denominatore la forza di gravità, espressa dal termine ρL3g, sicché si ha Fr2 = ρL2v2/ρL3g = v2/gL. Alcuni di questi numeri hanno anche un'interpretazione cinematica: ad esempio, il numero di Froude può essere interpretato come il rapporto fra la velocità del fluido e la velocità di propagazione di un'onda gravitazionale di piccola ampiezza, mentre il numero di Mach può essere espresso come rapporto fra la velocità del fluido e quella di propagazione di una perturbazione elastica.
La validità per il prototipo delle osservazioni compiute sul modello è assicurata dal rispetto delle leggi di similitudine, le quali possono essere rispettate anche quando i fluidi utilizzati sul modello e sul prototipo siano diversi. Tale circostanza può risultare in alcuni casi vantaggiosa; ad esempio quando si tratta di studiare il moto di fluidi particolari, come sostanze oleose o pericolose, che possono essere sostituiti nel modello da fluidi di più agevole impiego o semplicemente più economici, quali ad esempio l'acqua o l'aria.
Modificando le convenzioni in base alle quali sono state fissate le unità di misura delle grandezze fondamentali, che supponiamo essere lunghezza L, massa M e tempo T, si possono adottare altre unità aventi ordinatamente misura λL , λM e λT nei confronti delle rispettive unità originarie, cioè (3) dove il pedice n si riferisce alla misura effettuata con l’unita di misura di partenza e il pedice m alla nuova unità. Dalla conoscenza delle scale di conversione delle grandezze fondamentali, espresse dalle (3), è possibile ricavare le analoghe scale di ogni grandezza derivata. Considerando ad esempio la generica grandezza A, si potrà scrivere
(4)
dove αA, βA e γA sono gli esponenti introdotti nella (2).
Si intuisce inoltre che le leggi fisiche debbano necessariamente essere invarianti rispetto al sistema di unità di misura scelto per le grandezze da esse coinvolte. Allo stesso modo, la realizzazione di un modello in scala ridotta altera non già le unità di misura delle grandezze fondamentali coinvolte ma bensì le misure effettive delle grandezze medesime, in modo che esse assumano misura rispettivamente λL , λM e λT rispetto alle grandezze originarie del prototipo. La scelta di λL , λM e λT non potrà però essere arbitraria, in quanto i numeri puri dovranno rimanere immutati, assicurando così la validità per il modello di tutte le leggi fisiche riferite al prototipo. Tale considerazione suggerisce inevitabilmente l'idea che un fenomeno meccanico può essere studiato in un "piccolo mondo" artificiale che è il modello a scala ridotta, nel quale le lunghezze, le masse e i tempi sono ridotti secondo le scale di riduzione rispettivamente λL , λM e λT opportunamente scelte.
In realtà nella pratica è di norma impossibile assicurare la conservazione di tutti i P numeri puri indipendenti che caratterizzano un fenomeno, se non per un preciso rapporto di riduzione dipendente dalle caratteristiche dei fluidi impiegati e dai valori dell'accelerazione di gravità nei due ambienti. Poiché quest'ultima è pressoché costante e, almeno nei modelli fluviali, quasi sempre si utilizza il medesimo fluido, si trova che la conservazione dei numeri puri, e cioè la perfetta similitudine dinamica fra modello e prototipo, si può avere solo se la scala di riduzione geometrica è 1:1. Cioè l'unico modello in perfetta similitudine dinamica col prototipo è il prototipo stesso e quindi la sperimentazione andrebbe fatta direttamente su di esso.
L'asserto di cui sopra può essere dimostrato per assurdo. Immaginiamo, infatti, che un modello nel quale una corrente fluviale a pelo libero sia riprodotta mediante scorrimento di acqua, in ambiente caratterizzato da accelerazione di gravità pari a g, sia in grado di assicurare contemporaneamente la conservazione dei numeri di Reynolds e Froude, i quali sono espressi nella forma
(5)
dalla quale, imponendo la conservazione dei numeri, si ricava
(6)
ovvero
. (7)
Assumendo ora che λg, λρ e λμ assumano valore unitario per l'invarianza della gravità e delle proprietà fisiche del fluido. si ottiene,
, (8)
la quale ovviamente esprime condizioni incompatibili.
Ne segue che non è possibile avere un modello in scala ridotta perfettamente simile al prototipo ed occorre accettare dei modelli solo parzialmente simili, cioè per i quali siano rispettate le condizioni di similitudine con riferimento non a tutte ma solo ad alcune delle forze agenti. In pratica occorre fare delle scelte, cioè identificare quali sono le forze dominanti sul fenomeno e mantenere solo queste in rapporto costante fra loro. Nella maggior parte dei modelli di correnti a pelo libero queste sono la gravità e le forze di inerzia; la regola di scala che ne deriva, come verrà meglio illustrato nel seguito, è quella che deriva dalla conservazione del numero di Froude.
Per le correnti in pressione la gravità non è direttamente influente sul moto, ma solo in combinazione con le pressioni per il tramite del carico piezometrico; in questo caso si utilizza in genere la regola della conservazione del numero di Reynolds quando i fenomeni viscosi giocano un ruolo non trascurabile nel fenomeno (resistenza al moto per corpi arrotondati o pareti lisce) o del numero di Weber quando la tensione superficiale è dominante (la presenza o il processo di formazione di bolle risultano importanti).
I modelli idraulici di correnti a pelo libero in alveo a fondo fisso sono generalmente realizzati quando si ha ragione di ritenere che la riproduzione dei processi di trasporto solido non sia strettamente necessaria. Ciò si verifica solitamente quando, al passaggio delle portate di progetto, il materiale di fondo alveo nel prototipo non è movimentato dalla corrente oppure, nel caso lo sia, quando si ha ragione di ritenere che le movimentazioni di materiale d'alveo siano ridotte, così da non causare sensibili variazioni della geometria delle sezioni trasversali. I modelli a fondo fisso sono caratterizzati dalla presenza di una superficie di fondo costituita da materiale coesivo, ad esempio malta di cemento. Tuttavia, questa condizione non è strettamente necessaria, potendo in genere l’alveo del modello essere costituito anche da sedimenti sciolti, a condizione però che essi si trovino, al passaggio delle portate di progetto, in condizioni di stabilità e quindi non possano essere movimentati dalla corrente.
In precedenza è stato evidenziato che è impossibile conservare sia il Numero di Reynolds che il numero di Froude della corrente. E' quindi indispensabile addivenire ad un compromesso, considerando quali siano i processi più importanti da riprodurre. Ad esempio, se il moto del fluido si configura come assolutamente turbolento sia nel prototipo che nel modello, allora è possibile rinunciare alla similitudine del numero di Reynolds, che quindi risulterà diverso nel modello rispetto al prototipo. Tale semplificazione si traduce in un errore nella valutazione delle perdite di carico per attrito, errore che però è tanto meno sensibile quanto più il moto è turbolento. Infatti sappiamo dalla meccanica dei fluidi, ed in particolare dalle esperienze di Nikuradse, che queste sono invarianti rispetto al numero di Reynolds alla sola condizione che il moto sia turbolento. Ovviamente l'approssimazione introdotta si potrà riflettere sulla riproduzione dei livelli e delle portate e quindi sulla corretta riproduzione del moto. Rinunciando alla similitudine di Reynolds, siamo ora liberi di adottare un rapporto di scala delle lunghezze inferiore ad 1. Le scale dei rimanenti parametri caratteristici sono
, (9)
ove λess
La scala di riduzione delle velocità risulta quindi uguale alla radice quadrata della scala di riduzione delle lunghezze geometriche. Codesta proprietà identifica i modelli realizzati in similitudine di Froude. In queste condizioni il Numero di Reynolds è inferiore nel modello rispetto al prototipo e di conseguenza se ne deduce che in un modello a scala ridotta in similitudine di Froude le forze viscose hanno sempre una rilevanza maggiore che nel prototipo.
Non sempre, come si vedrà più avanti, è possibile realizzare un modello geometricamente simile al prototipo in cui il fluido defluisce in condizioni di moto assolutamente turbolento sia nel prototipo che nel modello. In taluni casi, infatti, l’elevata riduzione di scala delle lunghezze geometriche rende impossibile il rispetto di tale condizione. Nella pratica, rapporti di scala più piccoli di 1/50 potrebbero essere difficilmente realizzabili.
Il modello idraulico del regime di piena del Fiume Arno entro la città di Firenze, nel tratto compreso tra il Ponte alle Grazie e la traversa S. Rosa, è stato realizzato nel 1972 presso il laboratorio di Ingegneria Idraulica dell’Università degli Studi di Bologna. Le esperienze su di esso condotte avevano un triplice scopo. In primo luogo stimare l'andamento del profilo del pelo libero, con geometria dell'alveo fluviale corrispondente allo stato di fatto, per portate prossime alla massima contenibile in alveo. In secondo luogo determinare il rigurgito, provocato dalla medesima portata massima, una volta operate sull'alveo le sistemazioni previste da diverse alternative progettuali. In terzo luogo determinare un nuovo valore della portata massima contenibile, in seguito alla realizzazione delle sistemazioni predette, che prevedevano abbassamenti alle platee del Ponte Vecchio, del Ponte di Santa Trinità e, eventualmente, del Ponte alle Grazie. Tali sistemazioni fluviali sono state adeguatamente dettagliate dalla committenza mediante elaborati di progetto.
Il modello riproduceva il tratto del Fiume Arno, contenuto fra muri di sponda, compreso fra le sezioni trasversali localizzate circa 100 metri a monte del Ponte alle Grazie e in corrispondenza della traversa di Santa Rosa. La morfologia dell'alveo è stata definita mediante un rilievo di dettaglio del tratto da riprodurre. Il materiale di fondo, caratterizzato mediante idonee campionature, è risultato costituito da massi di notevoli dimensioni, risultato di secolari discariche, che nel modello sono stato riprodotti disponendo della ghiaia di frantoio delle dimensioni pari a 8 mm. I manufatti in alveo presenti in detto tratto, riprodotti dal modello, sono il Ponte alle Grazie, il Ponte Vecchio, il Ponte Santa Trinità, il Ponte alla Carraia e la Pescaia di Santa Rosa. I ponti sono stati realizzati in legno e successivamente verniciati al fine di ottenerne l'impermeabilizzazione. La Pescaia di Santa Rosa è stata eseguita in muratura, mente le platee sotto i ponti sono state realizzate in malta di cemento. Si sono poi riprodotte opere minori, come la fila di archi ciechi che corre, in sponda destra, a monte e a valle del Ponte alle Grazie, alcune rampe e scale che discendono sull'alveo e le spallette lungo tutto il corso del fiume. Si è posta la massima attenzione per riprodurre fedelmente, secondo i disegni forniti dalla committenza, soprattutto le parti interessate dal deflusso della corrente, indulgendo nel contempo anche a riprodurre sovrastrutture e dettagli che, se pur non influenti dal punto di vista idraulico, potessero dare al modello un aspetto completo, al fine di rendere più agevole la percezione della similitudine modello-prototipo anche ai non addetti ai lavori.
Il modello è stato realizzato secondo la similitudine di Froude, con scala di riduzione delle lunghezze geometriche pari a 1/60. Detta scala permetteva di apprezzare compiutamente le grandezze di interesse e risultava compatibile con gli spazi disponibili nel laboratorio. Il numero di Reynolds nel modello era tale da permettere il deflusso della corrente nel modello in condizioni di moto assolutamente turbolento, così da consentire la realizzazione di un modello indistorto. Le prime prove eseguite sul modello hanno evidenziato come il livello del pelo libero risultante fosse sostanzialmente congruo con i dati osservati disponibili. Le figure dalla 1 alla 6 mostrano dei particolari dei manufatti riprodotti e delle immagini riprese durante il passaggio di una portata pari a 3320 m3/s.
Figura 1. Vista da monte del Ponte Vecchio sul Fiume Arno a Firenze come rappresentato nel modello (Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1972).
Figura 2. Vista da valle del Ponte Vecchio sul Fiume Arno a Firenze come rappresentato nel modello (Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1972).
Figura 3. Il Ponte di Santa Trinità sul Fiume Arno a Firenze come riprodotto nel modello, al passaggio nel prototipo della portata pari a 3320 m3/s (vista da monte, Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1972).
Figura 4. Il Ponte di Santa Trinità sul Fiume Arno a Firenze come riprodotto nel modello, al passaggio nel prototipo della portata pari a 3320 m3/s (vista da valle, Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1972).
Figura 5. Vista da valle del Ponte Vecchio sul Fiume Arno a Firenze come rappresentato nel modello, al passaggio della portata nel prototipo pari a 3320 m3/s (Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1972).
Figura 6. Vista da valle del Ponte Vecchio sul Fiume Arno a Firenze come rappresentato nel modello, al passaggio nel prototipo della portata pari a 3320 m3/s (Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1972).
Il modello a fondo mobile del Fiume Reno in prossimità dell’abitato di Sasso Marconi è stato realizzato nel 1999 presso il laboratorio di Ingegneria Idraulica dell’Università degli Studi di Bologna, allo scopo di analizzare l’evoluzione della morfologia del fondo d’alveo conseguente alla realizzazione del nuovo attraversamento fluviale previsto dal Progetto della Variante di Valico dell’autostrada A1 Bologna-Firenze. Precisamente, attraverso il modello si intende accertare la presenza di eventuali fenomeni di escavazione, ad opera della corrente, in prossimità delle nuove pile del ponte in progetto, verificando così la funzionalità delle protezioni al piede previste nel Progetto stesso. Il nuovo attraversamento dell’autostrada sarà realizzato immediatamente a valle del ponte autostradale esistente, il quale a sua volta si trova subito a valle del cosiddetto Ponte Albano, situato sulla viabilità congiungente la zona settentrionale dell’abitato di Sasso Marconi con il casello autostradale. Il tronco fluviale nel quale sorgerà il nuovo viadotto sarà quindi caratterizzato dalla presenza di tre attraversamenti d’alveo posti in rapida successione e di una traversa posta a valle del ponte autostradale esistente a protezione delle fondazioni dello stesso. La complessità idraulica del nodo fluviale interessato ha reso consigliabile la realizzazione di un modello idraulico in scala ridotta. La Figura 7 mostra una vista dall’alto del tronco fluviale riprodotto, nella quale sono evidenti i due attraversamenti esistenti. Le figure dalla 8 alla 10 mostrano invece alcune immagini del modello finito prima dell’esecuzione delle prove, mentre la figura 11 riporta un’immagine ripresa durante l’esecuzione di una prova su modello con portata corrispondete a 3000 m3/s nel prototipo.
Figura 7. Vista dall’alto del tratto d'alveo fluviale riprodotto nel modello. Il senso di scorrimento della corrente è da sinistra verso destra nella foto. 5.1.1. Descrizione del tratto d'alveo fluviale riprodotto
Il tratto d'alveo riprodotto dal modello è localizzato nelle immediate vicinanze di Sasso Marconi, in provincia di Bologna, ed ha una lunghezza complessiva di circa 1100 metri, con pendenza di fondo media pari al 3 per mille. La morfologia dell'alveo è stata caratterizzata mediante il rilievo di dettaglio di 30 sezioni trasversali ed il rilievo di dettaglio di tutti i manufatti. La sezione fluviale è di tipo composto, formata da un alveo di magra e da due golene laterali. Il materiale di fondo è costituito, nell'alveo di magra, in prevalenza di ciottoli alluvionali, mentre nelle due golene detti ciottoli sono frammisti ad una matrice di materiale più fine e il tutto è ricoperto da abbondante vegetazione. L'alveo di magra è diviso dalle golene da argini golenali costituiti da materiale costipato e coerente.
Poiché il modello idraulico è stato realizzato con alveo a fondo mobile, al fine ovvio di essere in grado di valutare gli scavi prodotti dalla corrente, la caratterizzazione della granulometria del materiale d’alveo assume fondamentale importanza al fine di riprodurre correttamente in scala ridotta i sedimenti di fondo.
Figura 8. Vista da valle del modello finito prima dell'esecuzione delle prove (Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1999)
Figura 9. Particolare del modello finito prima dell'esecuzione delle prove. In primo piano le pile dell’attraversamento autostradale esistente visto da monte, in secondo piano le quattro pile del ponte in progetto poste in alveo (Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1999).
Figura 10. Vista da valle del modello finito prima dell'esecuzione delle prove (Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1999).
Il modello fisico è stato realizzato nel laboratorio di Ingegneria Idraulica della Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Bologna, che allora disponeva di una vasca impermeabilizzata avente superficie complessiva pari a 73 m2 circa, di dimensioni planimetriche pari a circa 15 metri di lunghezza e 5 metri di larghezza. Il rapporto di scala delle lunghezze geometriche è stato determinato in modo da consentire, nella vasca disponibile, la riproduzione di un tratto d’alveo di lunghezza adeguata allo studio del problema. Il rapporto λL scelto, pari a 1/100, consentiva di riprodurre circa 600 metri di alveo a monte del manufatto in progetto e circa 500 metri a valle.
Figura 11. Vista da valle del modello durante l'esecuzione di una prova con portata pari a 3000 m3/s (Laboratorio di Ingegneria Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna, 1999).
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